I sistemi di controllo digitale vengono ormai utilizzati in modo predominante, anche dove i processi da controllare siano analogici.
Le ragioni principali di tale successo derivano dagli intrinseci vantaggi della elettronica digitale: minor complessità circuitale, manutenzione più facile e possibilità di modificare la logica di controllo senza stravolegre la sua struttura. Senza dimnenticare che i segnali digitali garantiscono una più elevata immunità ai disturbi e costi contenuti.
Si consideri tuttavia, che alcuni dispositivi analogici, come trasduttori, attuatori e amplificatori di potenza, non possono essere sostituiti da analoghi componenti digitali. Ecco dunque la necessità che un sistema di controllo digitale preveda l’utilizzo di convertitori analogico-digitali – che convertano i segnali analogici in segnali digitali manipolabili dalla logica di controllo – e di convertitori digitale-anologico, che svolgano la funzione inversa, ovvero convertano i segnali digitali di controllo in segnali analogici che agiscano sul processo.
L’aspetto funzionale che caratterizza i controlli digitali rispetto a quelli analogici è il nodo di confronto che, nei primi, verrà realizzato da un dispositivo digitale che potrà variare da un semplice comparatore fino a una scheda a microprocessore.
Le logiche a microprocessore troveranno naturalmente anche largo uso nell’implementare gli algoritmi che definiscono il regolatore, dal più semplice ON-OFF fino ai più complessi ottenuti dalla combinazione delle azioni proporzionale, derivativa e integrativa.
Nella figura 1 viene descritto lo schema a blocchi generale di un controllo digitale applicato a un processo analogico che utilizza un trasduttore a un attuatore. Il segnale emesso dal trasduttore è generalmente analogico e risulta dunque continuo sia nel tempo che nelle ampiezze.
Il microprocessore, tuttavia, è in grado di operare solo a intervalli temporali discreti, ovvero i valori dei segnali vengono acquisiti solo in corrispondenza di alcuni istanti intervallati tra loro da un periodo fisso T (istanti di campionamento). Quindi se il segnale è analogico, esso dovrà essere campionato in modo da prelevarne i valori solo a determinati istanti equispaziati nel tempo.
Ma il campionamento non è sufficiente. Infatti i segnali, per essere gestiti dal microprocessore, devono essere discreti anche in ampiezza: i loro valori cioè, non possono assumere gli infiniti valori possibili di un segnale analogico, ma limitarsi a determinati valori predeterminati all’interno di un certo range. Il processo a valle del campionamento, che “limita” gli infiniti valori continui di ampiezza a un sottoinsieme finito e discreto, si chiama quantizzazione.
In estrema sintesi, la quantizzazione procede in questo modo:
- suddivisione dell’intervallo delle possibili variazione di ampiezza, in sottointervalli;
- per ciascun sottointervallo, viene scelto un valore rappresentativo, ad esempio la media degli estremi del sottointervallo stesso;
- sostituzione del valore di ampiezza campionato con il valore rappresentativo del sottointervallo di appartenenza.
Ad esempio, posto che la variazione del segnale possa cadere nell’intervallo [-5,+5], i sottointervalli potrebbero essere: [-5,-4], [-4,-3], [-3,-2], [-2,-1], [-1,0], [0,+1], [+1,+2], [+2,+3], [+3,+4], [+4,+5].
All’interno di tali sottointervalli, i valori rappresentativi potrebbero essere le medie degli estremi, quindi: -4,5, -3,5, -2,5, -1,5, -0,5, +0,5, +1,5, +2,5, +3,5, +4,5.
Adesso, i valori campionati ai vari istanti T, 2T, 3T ecc verranno sostituiti con i valori rappresentativi dell’intervallo di appartenenza del campione. Ad esempio, se al’istante T il valore campionato è pari a 2,8 V esso verrebbe sostituito dalla quantizzazione con il valore 2,5; il valore 3,95 V sostituito con 3,5; il valore 4,6 V con 4,5, ecc.
Errori di quantizzazione
Dovrebbe essere evidente, a questo punto, che il processo di quantizzazione comporta un errore, poichè il valore originale “reale” viene sostituito dal valore quantizzato “approssimato”. Si vede subito che il massimo errore sarà pari a Q/2 ove Q è l’ampiezza del sottointervallo. Nel nostro esempio, ove i sottointervalli avevano ampiezza 1 V, il massimo errore di quantizzazione sarà pari a 0,5 V.
Si intuisce fin d’ora che nostro interesse sarebbe allora quello di costruire i sottointervalli sempre più piccoli. Se infatti essi avessero ampiezza 0,1 V invece di 1 V, avremo ridotto di 10 volte il massimo errore di quantizzazione: Q/2=0,05 V. Tuttavia, vedremo che questa possibilità ha un limite che viene dettato da un’altra operazione che deve essere compiuta per rendere il segnale manipolabile dal microprocessore: la Codifica. Quest’ultima deve procedere a trasformare il valore rappresentativo scelto (ad esempio 3,5 V) in un numero binario.
L’insieme delle due operazioni di quantizzazione e codifica è proprio quella svolta dai convertitori analogico-digitali prima accennati. Uno schema a blocchi più dettagliato di un controllo digitale che agisce su tre variabili di un processo analogico, è allora quello di figura 2.
Come appare in figura, i segnali analogici provenienti dai trasduttori devono passare attraverso un circuito di condizionamento. La funzione di questo circuito è quello di scalare i segnali dei trasduttori allo stesso intervallo di ampiezza, ad esempio [0, 10 V]. In questo modo essi possono essere inviati verso il microprocessore uno alla volta su una unica linea di trasmissione: questa è la funzione del multiplexer analogico che segue il condizionamento.
Procedendo lungo la linea di trasmissione, troviamo un filtro passa-basso, un circuito Sample and Hold e infine il convertitore analogico-digitale (ADC).
Il filtro passa-basso ha la funzione di limitare l’influenza di eventuali disturbi di alta frequenza sui segnali.
Il circuito S/H, Sample and Hold, opera come una sorta di memoria analogica: esso mantiene costante il valore presente all’ingresso dell’ADC per tutta la durata della conversione. Quest’ultima infatti impiega un certo tempo (tempo di conversione) e perchè riesca ha la necessità che il valore in ingresso non cambi prima che la conversione sia terminata.
Infine, l’elaboratore a microprocessore, seguendo un algoritmo di progetto, elabora i segnali di ingresso e produce una uscita atta ad intervenire sul sistema da controllare. Analogamente alla linea di trasmissione analogica che abbiamo percorso, anche all’uscita del microprocessore è necessario un elemento di memoria che mantenga costante il valore digitale che si presenta all’ingresso del convertitore digitale-analogico (DAC). Questa funzione di memoria viene svolta da un latch.
Procedendo nello schema, il segnale analogico in uscita dal DAC viene inviato all’amplificatore di potenza il quale, agendo poi sull’attuatore, permette a quest’ultimo di agire sulla variabile controllata del processo, modificandola in modo opportuno. Anche in questo caso, talvolta viene inserito un circuito di S/H in modo da mantenere costante il valore in ingresso dell’amplificatore di potenza durante il suo intervento sull’attuatore.
In un prossimo articolo ci occuperemo degli algoritmi di controllo, vedendo qualche esempio nei casi di regolatori PI e PID.